Lorenza TROMBONI
Omnes homines natura scire desiderant : così si apre il De doctrina Aristotelis, una collezione di appunti sulle opere aristoteliche di Girolamo Savonarola, conservata nel codice della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Conv. Soppr. D.VIII.985, ff. 190r-205r (xv sec.)1. Si tratta di uno scritto che raccoglie citazioni, excerpta e brevi sunti di 24 opere autentiche e pseudo-epigrafe : Metaphysica, Physica, De coelo et mundo, De generatione et corruptione, Meteora, De anima, De somno et vigilia, De sensu et sensato, De memoria et reminiscentia, De longitudine et brevitate vitae, De iuventute et senectute, De phisionomia, De bona fortuna, De motu animalium, De causis proprietatum elementorum, De mundo ad Alexandrum regem, Epistola ad Alexandrum (Rhetorica ad Alexandrum), De pomo (Vita Aristotelis), De inundatione Nili, De plantis, Liber de causis, Ethica Nicomachea, Politica, Rhetorica, De generatione animalium (libri II e IV). Gran parte delle occorrenze dei testi aristotelici che si trovano nelle opere del Frate dipendono dal De doctrina Aristotelis e sono spesso, a loro volta, citazioni fedeli dei testi originali ; si hanno, poi, riferimenti a largo raggio introdotti e giustificati da quelle sententiae aristoteliche che si riscontrano nei più diffusi florilegi e nei testi enciclopedici : queste sententiae, che hanno spesso anche un corrispettivo nel De doctrina Aristotelis, suggeriscono un utilizzo da parte di Savonarola di altre fonti oltre ai testi originali2. Nel corso di questo intervento ci proponiamo di analizzare le tipologie di occorrenze aristoteliche ora descritte, cercando di avvicinare il nostro testo alla tradizione degli strumenti di lavoro degli intellettuali tra XIII e XV secolo3, soffermandoci in particolare sulle Auctoritates Aristotelis4 e proponendo alcuni passi che mostrano l’utilizzo di fonti impiegate anche nel De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico5. Differenti per struttura e contenuto – condividono solo le fonti aristoteliche, il primo è scritto in forma di trattato, mentre il secondo è avvicinabile ad un sommario – questi due testi hanno in comune alcune caratteristiche proprie dei più importanti strumenti utilizzati per la divulgazione del sapere del medioevo : la diffusione capillare in ambienti universitari e conventuali, la chiarificazione dei testi originali a cui attingono e la rielaborazione in forma semplificata delle fonti ; pensati per chi non aveva accesso ai testi, sia per la lontananza dai grandi centri culturali, che per le scarse possibilità economiche, florilegi6 ed enciclopedie7 resero più semplice la consultazione delle auctoritates ed il reperimento di informazioni, svolgendo anche una funzione didattica8. Ricordiamo qui soltanto il Manipulus florum, un testo composto nel XIII secolo dal maestro parigino Tommaso d’Irlanda9 con lo specifico intento di fornire uno strumento utile per la predicazione e lo Speculum maius di Vincenzo di Beauvais10, che copre un aplissimo spettro di conoscenze, dall’ambito scientifico a quello storico, dall’etica alla teologia.
La predicazione savonaroliana costituisce un caso particolare nel panorama italiano della fine del Quattrocento : nelle pagine introduttive del suo recente volume, Savonarola The Rise and Fall of a Renaissance Prophet, Donald Weinstein afferma che Savonarola riuscì a distinguersi dai grandi predicatori del XV secolo grazie alla forza ed alla completezza del suo messaggio che non si limitava alla condanna della cultura classica o al continuo richiamo alla penitenza, ma riusciva a fondere il rinnovamento spirituale e morale con la giustizia sociale e la libertà politica, un messaggio col quale persuase un’intera città che egli poteva essere il suo profeta11. Il suo discorso consiste in una continua parafrasi della Sacra Scrittura, arricchita di riferimenti al tempo presente ed adattata alle esigenze dell’uditorio ; dalle prediche, dai trattati e dalle opere teologiche, emerge chiaramente l’idea che soltanto un ritorno alla Bibbia, come unica fonte di saggezza e come modello esclusivo di comportamento, avrebbe portato la salvezza degli uomini. Questa centralità della parola divina non impedisce a Savonarola di fare largo uso di elementi esterni alla tradizione biblica e patristica, provenienti dalla letteratura, dalla cultura vernacolare e dalla filosofia. A differenza di altri predicatori contemporanei, infatti, egli fa un ampio e circostanziato uso della filosofia classica a scopo didattico, esemplificativo e retorico, dimostrando una conoscenza diretta di molti dei testi che cita12. Una conferma di quanto detto è rintracciabile nei compendi che il frate scrisse negli anni del suo incarico come lector nel convento di San Marco13, e nelle raccolte di appunti dedicati ad Aristotele – il De doctrina Aristotelis – ed a Platone, il De doctrina Platonicorum14. Il primo, che offre maggiore spazio in tal senso, si può considerare una sorta di repertorio privato al quale Savonarola attingeva per inserire elementi della tradizione filosofica all’interno delle prediche e dei trattati al posto di formule conclusive, per dare maggior peso alle argomentazioni o semplicemente per chiudere in maniera elegante un discorso. Il testo è suddiviso in paragrafi, ognuno dei quali è dedicato ad un’opera, anche se per quelle in più libri (Metafisica, Fisica, Etica, etc.), si ha un’ulteriore suddivisione in sottoparagrafi, corrispondenti ai singoli libri15. Sono escluse le opere logiche, considerate, probabilmente, meno funzionali in vista di un utilizzo dei passi annotati nel contesto della predicazione16. Come accennato, il testo non sembra essere destinato alla diffusione, nemmeno in ambito strettamente conventuale : fin da una prima lettura, ci si trova di fronte ad una successione di brevi periodi, con poche connessioni tra di loro e frequenti, repentini cambi di argomento ; espressioni come inquit, dicitur quod, respondit, sic probat, et probat multis rationibus si ripetono in ogni paragrafo e ugualmente frequente è l’abitudine di chiudere il periodo con etc. ; del resto, questi interventi sono tra le pochissime aggiunte originali di Savonarola, che qui risparmia commenti e giudizi, così abbondanti, al contrario, nelle sue opere destinate alla divulgazione. Esso non fu stampato insieme ai compendi filosofici del Savonarola e non si hanno notizie di una sua circolazione manoscritta, se non limitata al minimo17 : l’unico testimone, infatti, non è l’autografo, bensì un codice che raccoglie diverse opere filosofiche del Frate, tra cui anche il De doctrina Platonicorum18. Alcuni esempi aiuteranno a descrivere la struttura del testo.
Nel paragrafo sul primo libro del De caelo et mundo, Savonarola riassume parte della discussione sull’esistenza dei corpi infiniti, corrispondente a 271a33-b5 e di più cieli (277b27-28) :
Deus et natura nihil frustra faciunt ; quod non est corpus infinitum esse grande probat […] quod non sunt plures mundi probat multis rationibus, etc.19
mentre poco dopo, tra gli appunti sul secondo libro si legge :
Est autem celum animatum et habet motus principium. Plures esse celos probat (De caelo 285a29-30) […] Quod in celo non sit armonia probat, et facit argumenta ex utraque parte (ibid., 290b13-15), etc.20
Dove in entrambi gli esempi è facilmente riconoscibile la citazione iniziale (in corsivo), accanto ad alcune frasi che riassumono il contenuto dei passi compendiati : nella trama della predicazione, questi brani vengono contestualizzati in chiave morale, ed assumono un significato che accresce il valore dell’argomentazione in cui sono inseriti. Lo vediamo, ad esempio, nella predica del 25 maggio 1495, in cui Savonarola cerca di spiegare l’importanza della scelta del fine ultimo e dei mezzi per raggiungerlo :
Sì come interviene, se tu appetisci la roba per l’ultimo fine, cioè per l’onore di Dio, verbigrazia per nutricare la famiglia e così la persona tua, e’ quali siate membri di Cristo, acciò che vivendo lo possiate laudare, è bene. Se altrimenti, cioè per dilettarti in essa, è male. Iddio non può errare, ma ordina le cose sue a buono fine e sempre considera l’ultimo fine, perché in Lui non è ignoranzia, né malizia. Adunque, se Iddio ordina una cosa per uno fine medio, sempre poi v’è l’ultimo fine e quello conviene sia buono…21
L’onniscienza e la bontà divina mettono al riparo il fedele da ogni dubbio sulla condotta da tenere, poiché egli è in grado di ordinare ogni cosa al proprio fine ultimo : così, quando Dio fa germogliare le gemme sugli alberi, lo fa in vista della nascita dei frutti, che costituiscono il fine ultimo della pianta. Deus et natura nihil frustra operantur, così dicono anche i filosofi :
una gemma di uno arbore che, in primavera, la natura la produce, ma non è quello ultimo suo fine ; fa poi el fiore e finalmente el frutto, e così perviene all’ultimo suo fine, onde si dice da questi filosofi : Deus et natura nihil frustra operantur22.
Savonarola segue lo stesso metodo in molti altri casi, come, ad esempio, nella predica del 1° novembre 1494, sul libro del profeta Aggeo, dove invita i suoi uditori a cercare la causa delle tribulazioni che si veggano preparate, cioè dell’imminente arrivo di Carlo VIII in città, che sarebbe avvenuto di lì a poco, il 17 novembre seguente.
Così tu guarda queste tribulazioni, che si veggano preparate, e cerca della causa, e troverai che e’ peccati ne sono la causa. Se tu stai admirato, questo viene da ignoranzia ; va’, cerca la causa : vedrai, dico, che e’ peccati e le sceleratezze oggi del mondo parturiscano questo effetto delle tribulazioni. Cerca, dico ; omnes homines natura scire desiderant, ognuno vuole sapere il perché, maxime quando e’ vede qualche cosa insolita, come facevano quelli filosofi vedendo eclipsare la luna ed el sole, e pur cercando trovorno la causa23.
Savonarola chiarisce in questo modo una questione di carattere teologico (il peccato degli uomini è la causa delle loro tribolazioni) con un’argomentazione filosofica facilmente riconoscibile nell’incipit della Metafisica, che è anche la frase con cui si apre il primo paragrafo del De doctrina Aristotelis :
Omnes homines natura scire desiderant, signum etc. Ex sensu memorie ex qua experimentum etc. Inter sapientiores sunt qui habent scientiam quia ‘propter quid’ dicunt et possunt docere, et universalia sciunt24.
Il predicatore invita i suoi fedeli ad interrogarsi sulla causa di questa ‘cosa insolita’, delle straordinarie difficoltà, cioè, a cui la città di Firenze sta andando incontro. La causa è il peccato, la cattiva condotta dei Fiorentini, ai quali egli pone di fronte il modello del filosofo, che per comprendere la realtà che lo circonda cerca di andare dagli effetti alle cause. E ancora, nella predica del 24 maggio 1495, che prende spunto dal versetto 16.23 di Giovanni (Amen amen dico vobis, si quid petieritis Patrem in nomine meo, dabit vos), Savonarola utilizza altre annotazioni dal primo libro della Metafisica. Inscenando un dialogo con un interlocutore immaginario, Girolamo dice :
Li discepoli, perché Cristo parlò un poco più chiaro, credevono intendere e fecevono come ignoranti. Dice Aristotele : Signum scientis est posse docere. L’uomo che sa bene e possiede una cosa, la sa dire e insegnarla pianamente e altamente. Voi ancora mi dite : - Frate, tu parli chiaro -. Dimmi, credi tu avere a morire? - Sì. - Credi tu che sia l’inferno? - Sì. - Perché non vi pensi adunque, ma pensi solo alle cose del senso che ti sono presenti? -25
Qui il Frate fa una piccola digressione rispetto al tema della predica, incentrata, come quella del 1° novembre 1494, sul rapporto tra il peccato e la tribulazione universale. E’ una sorta di parentesi che gli serve per ribadire l’importanza della chiarezza e della comprensibilità del messaggio salvifico, una decisa esortazione al pentimento che non può essere fraintesa. Il sapiente che ‘possiede una cosa’, che riesce a comprenderla profondamente, è colui che è in grado di spiegarla pianamente e che sa renderla accessibile a tutti. Lo scambio di battute con un interlocutore fittizio, che rappresenta il sentire comune, serve a Girolamo per sottolineare la semplicità del nesso tra i peccati degli uomini e le tribolazioni della città : il predicatore diventa il sapiente che possiede la conoscenza ed è in grado di insegnare.
Questo modus operandi viene applicato grosso modo a tutti i testi che il Frate compendia nel De doctrina Aristotelis, a differenza di quanto fa nel Compendium philosophiae moralis e nel Compendium philosophiae naturalis : questi due testi furono pensati e scritti per i frati di S. Marco negli anni in cui Girolamo era lector nel convento fiorentino, e rispecchiano perfettamente la volontà di restituire la filosofia aristotelica attraverso la mediazione dei commenti di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino in una forma accessibile anche ai frati meno esperti26. Se i compendi dimostrano la conoscenza delle opere di Aristotele, il De doctrina Aristotelis dimostra la consuetudine ed il contatto diretto con i testi, nonché la capacità di coglierne perfettamente il significato e piegarlo, all’occorrenza, alle proprie necessità. Il lavoro di reperimento delle fonti, inoltre, ha permesso di portare alla luce un nesso non trascurabile tra gli appunti savonaroliani ed i Parvi flores o Auctoritates Aristotelis, secondo quanto attestato da una parte della tradizione manoscritta e a stampa. Il francescano Giovanni de Fonte27 portò a termine la fase finale della compilazione tra il 1296 ed il 1297, ma alcune parti che poi confluirono nel testo circolavano già dal XII secolo ; lo scritto mantenne inalterata la sua fortuna dalla sua prima diffusione in ambito universitario e conventuale fino all’età moderna, come ha dimostrato J. Hamesse nei molti studi ad esso dedicati28. Ferma restando la diversa destinazione dei due scritti, ci pare che essi condividano il momento della rielaborazione delle fonti e la finalità, ovvero la necessità sentita dall’autore di compendiare e riassumere più testi aristotelici da utilizzare in forma semplificata in un contesto diverso da quello originale. Le Auctoritates Aristotelis sembrano aver avuto un ruolo di ‘guida alla lettura’ per la compilazione savonaroliana, in particolare per quanto riguarda la prima parte del florilegio, come si può constatare da un confronto tra gli indici delle due opere29. A prescindere dalle opere non aristoteliche che si trovano riassunte qui e non nel De doctrina Aristotelis (Epistolae ad Lucilium, De vita et moribus, De quattuor virtutibus, De beneficiis, De remediis fortuitorum di Seneca, De consolatione philosophiae, De disciplina scholarium di Boezio, il Timeo di Platone30, il De Deo Socratis di Apuleio e il Liber sex principiorum di Gilberto Porrettano), l’elenco dei testi presenta forti similitudini, in particolare dalla Metafisica al De senectute, con alcune difformità nell’ordine : nelle Auctoritates Aristotelis il De somno et vigilia e gli altri due scritti sui sogni e la divinazione si trovano dopo il De sensu et sensato – che qui dà il titolo a tutta la parte sui Parva naturalia – mentre nel De doctrina Aristotelis lo precedono : lo stesso accade per il Liber de causis, che nelle Auctoritates si trova prima dell’Epistola ad Alexandrum invece che dopo, e per il Liber de bona fortuna che, essendo una compilazione dei Magna moralia e dell’Etica Eudemia, nel florilegio è posto logicamente dopo l’Etica Nicomachea, anziché vicino al De motu animalium come negli appunti savonaroliani. Tra gli altri punti comuni, si nota che Etica, Politica e Retorica compaiono in entrambi i testi nel medesimo ordine, e che il De plantis è presente anche nel florilegio, pur essendo rubricato sotto il titolo di Opus Empedoclis31. Nel De doctrina Aristotelis non figurano gli Oeconomica, la Poetica (Averroè, Expositio Poeticae), il De substantia orbis, il Secretum secretorum (chiamato De regimine principum Aristotelis eruditio), e il De pomo, poiché il paragrafo savonaroliano è in realtà un sommario della anonima Vita Aristotelis32 ; mancano anche, come accennato, le opere logiche, che chiudono il florilegio. In entrambi gli scritti, inoltre, la Rhetorica ad Alexandrum è chiamata Epistola ad Alexandrum, probabilmente perché gli appunti si riferiscono all’epistola prefatoria dell’opera. I due brani presentano tre passaggi in comune : nel paragrafo In quoddam epistola ad Alexandrum del De doctrina Aristotelis, poco dopo l’inizio si legge :
Eos qui cum ratiocinatione volunt agere tamquam <existentes> bonos et optimos laudamus, contrarios vero tamquam crudos et bestiales odimus. Sicut dux est salvator exercitus sic ratiocinatio cum eruditione est dux vite33.
La prima frase sembra riprendere le preposizioni n. 2 e 3 dell’omonimo paragrafo delle Auctoritates Aristotelis :
(2) Eos qui ratione utuntur et cum hac agunt omnia tamquam bonos et optimos existentes laudamus
(3) Eos autem qui sine ratione aliquid agunt, tamquam rudes et bestiales existentes ostendimus34,
mentre la seconda proposizione (Sicut dux est salvator exercitus sic ratiocinatio cum eruditione est dux vite), ricalca la n. 10 del florilegio, con la sola differenza del termine ratiocinatio al posto di ratio :
(10) Sicut dux est salvator exercitus, sic ratio cum eruditione est dux vitae.
Nel caso di un testo che non fu tra i più diffusi e commentati del corpus aristotelico, come la Rhetorica ad Alexandrum35, è ben comprensibile che Savonarola abbia voluto prendere spunto da uno strumento come le Auctoritates Aristotelis per i suoi appunti, al fine di rintracciare quei passaggi che potevano essere impiegati più facilmente nel contesto della predicazione. La somiglianza più forte tra il florilegio e gli appunti savonaroliani, ad ogni modo, sta proprio nella struttura dei due testi, nel frazionamento delle argomentazioni in brani facilmente assimilabili, e nella sistematica semplificazione adottata nelle Auctoritates che si ritrova, talvolta letteralmente, nel De doctrina Aristotelis.
Un esempio interessante di questo modo di procedere, e del ruolo di traccia svolto dal florilegio per Savonarola, è rappresentato dagli appunti sul II e sul III libro del De anima. Mettendo in parallelo i due testi, si vede che delle 75 sententiae del florilegio sul testo del II libro, il Frate ne riprende ben 19, mentre per il III libro il numero aumenta se considerato in proporzione alla lunghezza del paragrafo : sui 45 passi delle Auctoritates sono ben 13 quelli che hanno un corrispettivo nel De doctrina Aristotelis ; tra i 32 passaggi utilizzati da Savonarola si hanno numerose corrispondenze letterali ed altre ad sensum, ma significativo è l’andamento del testo che sembra seguire il florilegio quasi senza distaccarsene. Il primo riferimento letterale, sul quale torneremo anche in seguito, è costituito dalla sententia n. 41 dell’edizione Hamesse, la definizione di anima come actus corporis organici physici vitam habentis in potentia, scilicet ad opera vitae36. Il passo è un sunto di tre luoghi successivi del De anima corrispondenti rispettivamente a 412a19-22, 412a27-28 e 412b5-6, ed è utilizzato da Savonarola all’inizio del paragrafo sul II libro del De anima :
Anima est actus corporis physici organici, etc., unde non oportet querere si unum est anima et corpus sicut nec ceram et figuram nec uniuscuiusque materiam et formam, etc37,
dove il brano aristotelico citato dal Frate, spezzato con etc., lascia il posto ad una delle sententiae successive del florilegio, la n. 43 :
Non oportet quaerere utrum ex anima et corpore fiat unum et universaliter ex materia et forma38.
Le sententiae nn. 51-52 delle Auctoritates Aristotelis sul II libro del De anima coprono la parte del testo che va da 413b16 a 413b27, e riassumono una parte della riflessione di Aristotele sui diversi generi di esseri viventi che comincia poco prima (413a20). Qui si tratta dei vegetali, degli insetti, e del modo in cui l’anima presente in essi rende possibile la loro sussistenza ; subito dopo Aristotele passa a trattare dell’intelletto e della facoltà speculativa che gli è propria. In entrambi i testi che stiamo analizzando la successione degli argomenti è la medesima :
De doctrina Aristotelis |
Auctoritates Aristotelis |
- In imperfectis que decisa vivunt, anima et actu una, et potentia plures. - De intellectu autem et prospectiva potentia, nihil adhuc manifestum est, set videntur genus alterum anime esse et hoc solum contingere separari sicut et perpetuum a corruptibili. |
(51) In plantis est una anima in actu, sed multae in potentia, et ideo partes eorum abscisae vivunt (52) Intellectus separatur ab aliis potentiis animae sicut perpetuum a corruptibili |
A fronte di una certa indipendenza nella rielaborazione del testo aristotelico da parte di Savonarola nei confronti del florilegio, non si può negare la consonanza tematica dei passi che in entrambe le opere sono consecutivi. Si tratta dei vegetali, forme di vita imperfette, che hanno una sola anima in atto ma molte in potenza e che, per questo, riescono a vivere anche in parti separate, un fenomeno che si verifica anche negli insetti, precisa Aristotele, che continuano a muoversi e ad avere sensazioni anche dopo essere stati divisi in parti. Sia il Frate che il compilatore glissano sull’esempio degli insetti e passano a trattare dell’intelletto, concentrandosi sulla necessità di separarlo, per genere, dalle altre forme di anime e di paragonare il rapporto dell’intelletto con le altre forme di vita a quello delle sostanze perpetue rispetto alle sostanze corruttibili.
Già dalle prime battute del De doctrina Aristotelis, del resto, si nota l’utilizzo di alcune sententiae contenute nel paragrafo sul primo libro della Metafisica delle Auctoritates Aristotelis :
De doctrina Aristotelis |
Auctoritates Aristotelis |
Omnes homines natura scire desiderant (n. 1), signum etc. Ex sensu memorie ex qua experimentum etc. Inter sapientiores sunt qui habent scientiam quia ‘propter quid’ dicunt et possunt docere (n. 8), et universalia sciunt (n. 12) […] Difficillimum ad cognoscendum sunt universalissima (n. 15) |
(1) Omnes homines naturaliter scire desiderant (8) Signum scientis est posse docere (12) Sapientem oportet scire omnia in universali et scire difficillima … (15) Quae maxime sunt universalia difficillima sunt ad cognoscendum hominibus, quia a sensu sunt remotissima |
Una vicinanza tra i due testi che conferma l’ipotesi di un utilizzo del florilegio come uno strumento guida nella lettura dei testi aristotelici e nella scelta dei passi da annotare da parte del Frate.
Gli esempi del II e del III libro del De anima, che ci hanno permesso di evidenziare questo tipo di approccio, ci consentono anche di avvicinare il De doctrina Aristotelis al De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico, in particolare al III libro, che è il primo dei cinque che Bartolomeo consacra alla trattazione dell’uomo, focalizzandosi sull’anima umana39. Come spiega l’editore, per quanto ci siano ancora incertezze sulla data precisa della redazione dell’enciclopedia, essa si colloca in un periodo in cui il processo di assimilazione delle opere aristoteliche è ancora in corso, ed il loro utilizzo tradisce la difficoltà a fondere la visione naturalistica con la prospettiva neoplatonico-cristiana : un fenomeno che accomuna molti autori del secondo quarto del Duecento, almeno per quanto riguarda la questione dell’anima. Questo si traduce in una serie di fonti di origine diversa proposte in maniera acritica o, per usare le parole di James Long, «a kind of philosophical supermarket where nearly everyone could find his favorite brand»40. Tenendo a margine la questione delle fonti del De proprietatibus, troppo complessa per poter essere trattata esaustivamente in questa sede, ci interessa mettere in evidenza che alcune di queste ‘marche’ sono le stesse che si trovano nell’officina savonaroliana, anche se risulta difficile stabilire con certezza se il Frate abbia utilizzato direttamente il De proprietatibus rerum. In attesa di un’analisi esaustiva in questo senso, crediamo sia più corretto parlare di fonti comuni, presenti cioè nel testo di Bartolomeo ed anche nel De doctrina Aristotelis.
All’inizio del capitolo 3 del III libro, intitolato De aliis definitionibus, Bartolomeo presenta al lettore una serie di definizioni dell’anima, a partire da quella di Alfredo di Sareshel nel De motu cordis (anima est substantia incorporea, intellectualis, illuminationis a Primo ultima relatione perceptiva41), per arrivare al commento di Calcidio al Timeo, in cui l’anima, che è collocata al centro del cuore, è paragonata al ragno che, pur stando al centro della tela, percepisce tutto ciò che succede sulla superficie, fino ai margini : nello stesso modo, l’anima governa tutto il corpo, dal centro alle estremità, e diffonde la sua potenza vivificatrice in tutte le membra42. Subito dopo, Bartolomeo cita il De anima di Aristotele, prima di passare ad altre fonti : si tratta di un elenco di auctoritates non inserite in un contesto argomentativo comune, ma semplicemente proposte l’una dopo l’altra, alcune citate esplicitamente, altre introdotte da espressioni quali definitur o describitur : così ad esempio succede per la definizione, modellata sul testo di Gen. 2.7 della Vulgata, di anima come spiraculum vitae43 (tunc formavit Dominus Deus hominem pulverem de humo et inspiravit in nares eius spiraculum vitae, et factus est homo in animam viventem), e per quella, attribuita a Seneca, di anima come spiritus intellectualis ad beatitudinem in se et in corpore ordinatus44.
Pur trovandosi di fronte ad un testo con caratteristiche molto diverse dal De doctrina Aristotelis, si nota un approccio simile alle fonti compendiate, che vengono citate e messe in sequenza al netto di un’elaborazione dei concetti, collocati sul tema di fondo, in questo caso l’anima umana, che funge da sostrato comune. Si tratta di un’impressione che si ha alla prima lettura comparata dei due testi ma che, a ben vedere, necessita di alcune precisazioni : innanzitutto la somiglianza nel modo di trattare le fonti nasce da due esigenze fondamentalmente diverse, poiché, come abbiamo detto, il De doctrina Aristotelis raccoglie appunti che il Frate teneva per uso personale, non destinati ad essere divulgati, che costituivano il momento iniziale del suo approccio alla sola fonte aristotelica ; al contrario, la divulgazione era al centro dell’interesse di Bartolomeo che, nel comporre uno strumento di lavoro come il De proprietatibus rerum, pensava essenzialmente al suo valore come via di accesso ai testi classici e, in generale, alle auctoritates filosofiche e patristiche. Il punto finale del percorso di Bartolomeo è nel De proprietatibus, mentre il De doctrina Aristotelis rappresenta l’inizio di una serie di momenti che vedono la fonte modellarsi progressivamente per poter essere inserita nel contesto della predicazione. Uno dei molti esempi di questo utilizzo è rappresentato da un sermone tenuto in S. Marco il 15 febbraio del 1498, in cui Savonarola parla delle caratteristiche proprie dell’uomo rispetto agli altri esseri viventi, utilizzando un passo aristotelico tra i più noti, corrispondente a De anima III, 431b21 :
Adunque l’uomo contiene in sè ogni creatura e participa di tutte. A questo ancora concordano tutti li filosofi, e Aristotile dice ‘quod anima hominis est quasi omnia’, cioè che la anima dell’uomo participa e cognosce ogni creatura. E tutte le cose che noi cognosciamo sono in qualche modo in noi ; onde seguita che ogni cosa di questo mondo è nell’uomo, e tutte si riducono a lui45.
Un argomento, questo, che serve al Frate per spiegare il motivo per cui il Cristo ha comandato ai suoi discepoli di diffondere la sua parola, ma di coinvolgere nella predicazione solo gli esseri umani, i soli in grado di partecipare di tutte le creature, grazie alle molte funzioni che l’anima razionale assomma in sé : e Aristotele dice ‘quod anima hominis est quasi omnia’. Il medesimo concetto si trova tra le annotazioni sul terzo libro del De anima del De doctrina Aristotelis, dove si legge : Anima est quodammodo omnia46, e anche tra le sententiae delle Auctoritates Aristotelis dedicate al De anima : Anima est quoddammodo omnia47.
Oltre all’impressione generale di somiglianza, ad ogni modo, si riscontrano tra il De proprietatibus ed il De doctrina Aristotelis anche dei punti di contatto apprezzabili a livello testuale. Tornando al capitolo 3 del III libro del De proprietatibus rerum, intitolato De aliis definitionibus, vediamo che la definizione di anima scelta da Bartolomeo per rappresentare il pensiero aristotelico è la stessa che apre il paragrafo sul II libro del De anima nel De doctrina Aristotelis, un brano che Savonarola aveva annotato tra i suoi appunti, probabilmente seguendo l’indicazione delle Auctoritates Aristotelis
De proprietatibus rerum |
Auctoritates Aristotelis |
De doctrina Aristotelis |
Prout autem comparatur corpori sibi unito ut forma et perfectio, definitur a Philosopho in libro De anima sic : Anima est endelechia, id est actus primus sive perfectio corporis physici organici potentia vitam habentis*. |
(41) Anima est actus corporis organici physici vitam habentis in potentia, scilicet ad opera vitae** |
Anima est actus corporis physici organici, etc.*** |
*Bartholomaeus Anglicus, De proprietatibus rerum I…, III, 3, p. 151, 26-28. Sul concetto di endelechia cfr. B. Bakhouche, « La définition aristotélicienne de l’âme dans quelques textes latins : endelecheia ou entelecheia? », Interférences, Ars Scribendi, 4, 2006.
**Les Auctoritates Aristotelis…, p. 177, n. 42.
***Girolamo Savonarola, De doctrina Aristotelis …, f. 197v.
Ci pare significativo il fatto che, nei tre testi che stiamo considerando, la medesima definizione di anima sia ripresa letteralmente dalla fonte : un dato, questo, che certamente apre la strada alla possibilità di collocare il De doctrina Aristotelis all’interno di un percorso ideale che unisce la tradizione degli strumenti di lavoro intellettuale, come florilegi ed enciclopedie, agli appunti personali presi dal Frate alla fine del XV secolo. Non a caso egli sente il bisogno di citare nuovamente questo passo nei suoi appunti, quasi per ribadire il valore di tali strumenti come mezzo privilegiato, anche se non esclusivo, di accesso alle fonti classiche. Lo stesso può dirsi per un altro luogo del De doctrina Aristotelis, di poco successivo a quello ora citato :
Et sicut in figuris semper quod est consequenter est potentia in eo quod est prius, ideo in anima sensitiva et vegetativa et intellectiva sensitiva, etc48.
Il passo riassume brevemente un altro luogo classico del II libro del De anima (II, 414b28-415a13), ovvero il paragone tra i diversi tipi di anime e le figure geometriche, che si trova anche nel capitolo 7 del III libro del De proprietatibus :
Unde animam vegetabilem comparat Philosophus triangulo, quia huiusmodi tres sunt partes […] Animam sensibile comparat quadrangulo […] Animam autem rationale comparat circulo ratione sue perfectionis et capacitatis […] Unde supposita anima rationali presupponitur potentia vegetabilis et sensibilis, sed non convertatur49.
L’espressione et sicut in figuris del De doctrina Aristotelis, per quanto sintetica, rimanda chiaramente al passo in oggetto, che Bartolomeo riprende in tutte le sue articolazioni ed anzi amplia rispetto alla fonte aristotelica. La spiegazione che Savonarola aggiunge (semper quod est consequenter…) conferma l’interesse per uno dei concetti fondanti del pensiero aristotelico – la tripartizione dell’anima – che costituisce uno dei nodi centrali della discussione psicologica medievale, e che egli riproporrà in diverse occasioni agli uditori delle sue prediche, in forma più o meno diluita. È il caso della predica dell’8 aprile 1495 dove, per introdurre la differenza tra gli uomini carnali e gli uomini spirituali riprende l’idea della tripartizione dell’anima che associa alle diverse categorie di persone :
Sono alcuni uomini animali, alcuni spirituali, alcuni razionali : che sono tre gradi ; aggiugnamone un altro, che sono e’ carnali. E perchè l’anima è una, cioè l’anima intellettiva, e benchè comprenda in sè la vegetativa e la sensitiva, è nondimanco in parte congruente al corpo, in quanto è sensitiva e vegetativa50.
Anche nella predica del 26 febbraio 1496 il Frate utilizza lo stesso concetto, per trattare il tema della generazione dell’uomo :
Di questo cibo si generano molte superfluità, … parte ne riserva per la generazione, e questo superfluo è il seme il quale ne va alli vasi della generazione e piglia una virtù dall’anima del generante mediante el cielo e Dio prima, … secondo Aristotile comincia a conglutinare e transmutarlo in diverse forme, tanto che fa un corpo d’uno uomo e conducelo insino alla anima vegetativa e poi alla sensitiva, e ultimo, Iddio vi infunde l’anima razionale, e fassi di questa cosa l’uomo51.
Oltre al terzo, anche il XVII libro del De proprietatibus rerum presenta alcune fonti utilizzate anche da Savonarola nel De doctrina Aristotelis : in particolare il De plantis, un testo pseudo-aristotelico attribuito dagli editori moderni a Nicola Damasceno52 che, insieme al commento di Alfredo di Sareshel, costituisce una delle fonti di questa parte dell’opera di Bartolomeo, dedicata appunto al mondo vegetale53. Il capitolo 116, De palma, è uno dei luoghi della seconda parte del libro in cui l’autore utilizza maggiormente il De plantis : nell’analisi delle singole specie vegetali, infatti, egli si serve preferibilmente di altre fonti. Dopo aver descritto le caratteristiche esteriori della pianta, radici, foglie e frutti, Bartolomeo precisa che la palma si divide in due specie, maschile e femminile : il maschio fiorisce prima della femmina, la quale, senza di esso, non può crescere correttamente e nemmeno produrre frutti :
Palmarum duplex est species, scilicet masculus et femina ; masculus primo floret, femina post in germen prorumpit, nec fructificat femina, nisi ita sit propinqua masculo […] Idem etiam dicit Aristoteles libro Vegetabilium […] Nec bene crescit nec etiam fructificat femina sine masculo54.
Il paragrafo che Savonarola dedica al De plantis nel De doctrina Aristotelis è molto breve e raccoglie solamente tre citazioni letterali dal testo originale ; la prima riguarda la possibilità che da un seme guasto nasca una pianta sana :
Non provenit ex facili de semine malo planta bona nec ex semine bono arbor mala55.
La seconda, sulla quale torneremo a breve, riguarda il melograno, mentre la terza concerne alcune caratteristica della palma :
In palmis si folia vel pulvis foliorum vel cortex mascule palme foliis feminee apponuntur et cohereant, cito maturabuntur fructus et prohibebuntque casum eorum etc 56.
La fonte è evidentemente la stessa, ed anche il tema scelto da Bartolomeo e Savonarola – la pianta femminile non produce frutti senza quella maschile – rappresenta una base ottimale per analogie e spunti argomentativi da inserire nella predicazione. Le note marginali del libro XVII del De proprietatibus, del resto, mostrano chiaramente l’intenzione del compilatore di utilizzare il testo in questo senso : la frase Nec bene crescit nec etiam fructificat femina sine masculo rimanda ad una nota a margine che recita : Nota de subtractione prelatorum ecclesie, un cenno che mette in evidenza come il legame tra la Chiesa ed i religiosi sia necessario, al fine di ottenere dei buoni frutti, tanto quanto quello tra la femmina ed il maschio per la maturazione dei frutti della palma. Ricordiamo che il De proprietatibus, già nella prima fase della sua diffusione, fu oggetto di diversi rimaneggiamenti che ne accentuavano il valore d’uso all’interno della riflessione morale e dell’attività pastorale. Uno dei più importanti è il Liber septiformis de moralibus rerum del francescano Marco d’Orvieto (sec. XIII ex.), che ha preso spunto proprio dalle note marginali del De proprietatibus per la composizione della sua opera57.
Anche Savonarola, in almeno due occasioni, utilizza la palma come metafora del cristiano all’interno di un discorso in cui stilizza il modello di vita ideale del fedele : nella predica del 25 maggio 1495, che appartiene al ciclo di sermoni sul libro dei Salmi, egli vuole indicare quali siano le caratteristiche essenziali dei religiosi, dei predicatori e dei secolari, paragonandoli rispettivamente alle piante di ulivo, di fico e di palma :
Similmente e’ fichi, che significono e’ religiosi, e’ quali debbono avere la veste stracciata, come il buon fico erano nella primitiva Chiesa. Item erano passi di astinenza ; […] L’ulivo significa li santi predicatori, li quali erono pieni di olio di Spirito Santo nella primitiva Chiesa. La palma era li secolari, che hanno poca radice in terra e poco affetto alle cose terrene, e assai carità e affetto alle celeste58.
Simile per ispirazione è un passo di un sermone che risale allo stesso periodo, il 12 aprile 1495, dove la palma compare ugualmente insieme all’ulivo e dove si sottolinea la caratteristica chioma della pianta, che si stende verso l’alto e che sta a significare la direzione verso la quale il cristiano deve tendere. Le radici non profonde sono il segno dello scarso attaccamento ai beni materiali :
La palma, cioè l’arbore suo, ha molto brutto tronco, e bella chioma ; e hanno, questi arbori, poche radici in terra, e ti dimostrano come debbe esser fatta la vita del cristiano, se vuole al fine del suo combattere portare l’ulivo e la palma della vittoria. Però l’uomo cristiano vuole avere poche radici in terra, e non si profondare troppo in queste cose terrene, ma le azioni sue siano più verso il cielo che verso la terra. E’ rami dell’ulivo a fare assai frutto vogliono esser rari, cioè non si estendere troppo in rami nè in ornamenti nè in cose superflue ; e farai frutto assai. La palma ha il tronco brutto : quest’è la semplicità, che tu hai avere per fondamento e tronco della vita tua cristiana. La chioma della palma è bella, che va verso il cielo : ti mostra la vittoria per la quale tu sarai coronato in cielo, vivendo semplicemente e cristianamente59.
Un’altra annotazione a margine del testo del De proprietatibus rerum, è presente nel capitolo 99 del III libro, intitolato De malo granata : come nel caso precedente, dopo alcune osservazioni sulle caratteristiche esteriori del melograno, Bartolomeo fa una brevissima digressione che ha per fonte un passo del De plantis :
Dicit autem Aristoteles quod malus granata mutatur a malitia sua per cultura60.
Anche in questo caso, l’annotazione a margine rimanda all’ambito morale ; Nota de pena et doctrina, una sorta di chiave interpretativa che permette di intendere la buona pratica nella coltivazione del melograno come la corretta osservazione della dottrina cristiana. Probabilmente, anche Savonarola aveva visto in questo passaggio un contenuto facilmente adattabile al contesto della predicazione, e tra i suoi appunti si trova la stessa citazione utilizzata da Bartolomeo, ripresa letteralmente dalla fonte :
Malo granata stercore porcino infirmata et aqua dulci frigida rigata melioratur61.
Pur non essendoci nota una corrispondenza letterale di questo punto del De doctrina Aristotelis con altre opere del Savonarola, l’immagine del melograno viene utilizzata almeno una volta, nella predica del 27 dicembre 1494 ;
El melagrano significa quelli che hanno cura d’anime, che contengano sotto il suo amanto molti altri e doverebbono loro essere preparati al martirio e al sangue per defensione delle pecorelle, e per carità restringere insieme quelle, come fa la melagrana e’ suoi semi in se stessa62.
Il frutto del melograno – nel quale tutti i semi sono stretti all’interno della buccia – serve al Frate per indicare il modo in cui i sacerdoti dovrebbero aver cura delle anime a loro affidate, le pecorelle, che vanno difese dalle tentazioni e dal peccato a costo della propria vita ; il rosso intenso del frutto richiama il colore del sangue che i sacerdoti non devono temere di versare.
Conclusioni
Il lavoro sulle fonti aristoteliche di Girolao Savonarola raccolto nel De doctrina Aristotelis ha un duplice valore ; da un lato rappresenta una fase preliminare rispetto alla composizione di compendi e florilegi, il momento, cioè, in cui l’autore legge i testi ed annota i passi che gli sembrano più indicati per la sua attività pastorale. Dall’altro, la maniera in cui Savonarola utilizza gli estratti aristotelici rappresenta uno stadio ulteriore del processo di divulgazione del sapere aristotelico, che pure con le compilazioni, i compendi e i florilegi conosce un momento di grande impulso. L’utilizzo di queste citazioni nella predicazione volgare, infatti, rende accessibile ad un largo pubblico un tipo di sapere che nasce in ambito universitario, e che viene restituito in una versione facilmente accessibile ai più, all’interno di un discorso che ha un dichiarato scopo morale. Lo scritto rappresenta l’anello che congiunge il lavoro interiore del predicatore alla sua esperienza pubblica, lo studio privato alla predicazione in piazza. Esso svela inoltre le modalità di approccio alle fonti filosofiche da parte di un predicatore come Savonarola che più volte aveva espresso pubblicamente riserve e, talvolta, condanne nei confronti di chi, come Marsilio Ficino, voleva fondere la filosofia classica con il cristianesimo ; egli conosce ed utilizza la filosofia antica, mantenendo sempre la distanza necessaria a far capire a chi lo ascolta che Aristotele e Platone possono fornire gli strumenti per comprendere alcuni fenomeni, ma la loro saggezza non rappresenta il fine a cui un buon cristiano deve tendere.
Appendice
Confronto fra gli indici del De doctrina Aristotelis di Girolamo Savonarola e delle Auctoritates Aristotelis
De doctrina Aristotelis |
Auctoritates Aristotelis |
a) Metaphysica Physica De caelo et mundo De generatione et corruptione Meteorologica De anima b) De somno et vigilia De insomniis De divinatione per somnium c) De sensu et sensato De memoria et reminiscentia d) De longitudine et brevitate vitae De senectute et iuventute De physionomia e) De bona fortuna f) De motu animalium De proprietatibus elementorum De mundo ad Alexandrum regem g) Epistola ad Alexandrum (Rhetorica ad Alexandrum) h) De pomo (Vita Aristotelis) De inundatione Nili i) De plantis l) Liber de causis Ethica Nicomachea Politica Rhetorica |
a) Metaphysica Physica De caelo et mundo De generatione et corruptione Meteorologica De anima c) De sensu et sensato De memoria et reminiscentia b) De somno et vigilia De insomniis De divinatione per somnium d) De longitudine et brevitate vitae De senectute et iuventute De respiratione et inspiratione De morte et vita f) De motu animalium De animalibus De substantia orbis et lunae l.1) Liber de causis Ethica Nicomachea e) Liber de bona fortuna Oeconomica l.2) Politica Rhetorica Poetica g) Epistola ad Alexandrum (Rhetorica ad Alexandrum) h) De pomo et morte i) Empedocles (De plantis) |